DISTURBI DEL SONNO: COSA SONO E COME RICONOSCERLI
Come spesso accade, ci accorgiamo dell’importanza delle cose solo quando queste vengono meno.
Il sonno può essere una di queste.
Durante il lockdown , anche coloro che non soffrivano abitualmente di disturbi del sonno possono essersi resi conto di quanto sia importante dormire bene.
In quella circostanza, sono molti gli elementi che possono aver minato la buona igiene del sonno, aumentando i livelli di stress e ansia a cui eravamo sottoposti: dalla preoccupazione per la propria salute e quella dei propri cari alla sospensione dell’attività lavorativa, dall’isolamento fino al timore dell’impatto economico post pandemia.
Inoltre, la quarantena all’interno delle mura di casa spesso ha comportato un cambiamento dei nostri orari e ritmi quotidiani, una riduzione dell’attività motoria e dell’esposizione alla luce naturale, e un utilizzo maggiore dei dispositivi elettronici, a scopo lavorativo o scolastico, di interazione sociale e di intrattenimento.
Infine, l’esposizione continua a notizie focalizzate sul Covid-19 potrebbe aver dato luogo a quello che viene definito Headline Stress Disorder , un disturbo legato alla lettura ripetuta e costante di titoli di giornale che affrontano esclusivamente il problema dell’emergenza sanitaria.
Il sonno, pur essendo un’attività del tutto naturale, è al contempo un meccanismo molto delicato.
Questo perché dormire è una delle attività dell’organismo che più è influenzata da fattori quotidiani e psicologici.
Infatti, si stima che almeno 9 milioni di italiani soffrono di un qualche disturbo del sonno. E’ stato inoltre dimostrato che, con l’arrivo della pandemia, i casi siano ulteriormente aumentati.
I disturbi del sonno costituiscono un’ampia gamma di condizioni cliniche accomunate dal fatto di non riuscire a trarre beneficio dal proprio riposo e di percepire il proprio sonno come insufficiente o insoddisfacente nella qualità e nella quantità, con un conseguente stress e disagio durante le ore di veglia.
Un vero e proprio disturbo del sonno può essere curato solo con un percorso di psicoterapia adeguato, che rappresenta il trattamento elettivo per l’insonnia. La sua efficacia è stata dimostrata da diversi studi scientifici (Trauer et al., 2015, Taylor & Pruisma, 2014).
E’ utile sapere, però, che solo nei casi più gravi possiamo parlare di veri e propri disturbi del sonno. Il disagio deve essere presentato per un certo periodo di tempo e in maniera continuativa (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM-V, 2014). L’insonnia diventa una patologia quando dura per almeno 3 notti a settimana e prosegue per mesi, almeno più di 30 giorni. È una patologia cronica se supera l’anno.
I 2 FATTORI INVOLONTARI
Alcuni fattori che alterano il sonno sono involontari, cioè fuori dal nostro controllo. Pur non potendo agire su di essi, è bene essere a conoscenza di cosa è “normale” e cosa no.
1) L’età
Gli schemi del sonno cambiano con l’età. A mano a mano che invecchiamo, ci risulta sempre più difficile conciliare il sonno e ci svegliamo con maggiore frequenza nel corso della notte. Lo stato di dormi-veglia è più brusco con il passare degli anni e questo rende più leggere le fasi del sonno profondo.
Pur non essendoci una regola uguale per tutti, la National Sleep Foundation si è impegnata a rivedere regolarmente e fornire raccomandazioni scientificamente rigorose sulla durata del sonno giornaliero, a seconda delle fasce d’età:
Neonati (0-3 mesi): 14-17 ore
Neonati (4-11 mesi): 12-15 ore
Toddlers (1-2 anni): 11-14 ore
Prescolari (3-5 anni): 10-13 ore
Bambini di età scolastica (6-13 anni): 9-11 ore
Adolescenti (14-17 anni): 8-10 ore
Adulti (18-64): 7-9 ore
Adulti più anziani (65+): 7-8 ore
2) La genetica
Gli studi dimostrano un importante fattore genetico in relazione ai disturbi del sonno, che sono spesso simili a quelli dei propri genitori.
Due studi di genomica pubblicati nel 2019 su “Nature Genetics” hanno mostrato collegamenti tra geni implicati nell’insonnia e geni relativi a malattie cardiovascolari e psichiatriche (depressione, ansia, schizofrenia, malattia coronarica e diabete di tipo 2).
La genetica sembra essere implicata anche nei cosiddetti “sonni brevi”. Un gruppo di scienziati dell’Università della California a San Francisco ha rintracciato una variante genetica che sembrerebbe favorire il “sonno breve”: sessioni di appena 4-6 ore per notte, perfettamente ristoratrici.
Nell’articolo che segue darò qualche consiglio pratico per migliorare la qualità del sonno, agendo attivamente sulla nostra routine quotidiana.
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